mercoledì 4 gennaio 2017

Dalle buche di Keynes ai buchi di bilancio.

Scavare buche nei tempi di crisi, solo per poterle poi riempire?

Keynes lo usava come esempio per far capire l'importanza della leva pubblica, durante le crisi economiche.

Ma la condizione affinché quella leva funzioni è che i soldi investiti raggiungano consumatori che rimettano poi in circolo quel denaro. Se invece si accumulano nelle mani di pochi "fortunati", la leva si blocca e l'investimento dello Stato diventa improduttivo e distorsivo del libero mercato.

Sia le poche grandi opere eseguite, che le tante vagheggiate, sono investimenti improduttivi. Hanno determinato un alto impiego di capitali e la relativa loro remunerazione, sprechi più o meno legali, inquinamento, generando troppi pochi posti di lavoro.

Parliamo di 600 posti per ogni miliardo investito, contro i 18.000, che si sarebbero potuti realizzare attraverso il loro impiego nella green economy, nella riqualificazione ambientale, etc. Tutte quelle attività a intenso impiego di lavoro umano, piuttosto che di capitali. Non sono farneticazioni "grillesche" ma studi scientifici fatti (e pagati!) dal Parlamento.
Quelle attività sono le moderne buche di Keynes, le uniche in grado di esercitare con profitto la leva economica in uno stato moderno.

Le politiche keynesiane, nate per sopperire ai cicli economici negativi, sono oramai diventate strutturali e determinano al di là della loro inefficienza, uno sviluppo "non più sostenibile" nel nostro Paese. Tanto sotto il profilo economico quanto sotto quello ambientale.

Abolirle? Non ce lo possiamo permettere, così come non possiamo più permetterci di scavare le buche sbagliate.

Nei prossimi anni purtroppo ci giocheremo la nostra "ultima cartuccia" e spero che gli italiani sappiano scegliere bene da chi farla sparare.

Io ho già scelto!